Un saggio ricco di dati, per rendere concreta la dimensione umana dietro le crude statistiche: perché la povertà non è una categoria astratta, né la si può ricondurre solo a dei numeri.

Fonte: Waste Watcher International Observatory-Università di Bologna, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari su dati ed elaborazione IPSOS

E perché in questa società potrebbe davvero capitare a tutti, da un momento all’altro, di saltare il fosso della maggiore disponibilità economica, ritrovandosi dall’altra parte, ad amministrare i 45 centesimi al giorno messi a disposizione dalla inadeguata social card, istituita con legge di bilancio 2024.

L’aumento dei prezzi non ha influenzato uniformemente tutte le famiglie; quelle meno abbienti hanno visto una riduzione del 2,5% nella spesa reale (ISTAT). Le famiglie italiane spendono in media 952 euro in più rispetto a quelle dove tutti i membri sono stranieri (ISTAT) e l’indice di insicurezza alimentare si è impennato soprattutto al Sud (+26%) e nelle zone rurali (+66%), come hanno verificato lo scorso febbraio i dati dell’Osservatorio Waste Watcher International per la campagna Spreco Zero, su monitoraggio Ipsos. Il cosiddetto ceto popolare è stato colpito duramente, con un previsto aumento del 235% nell’insicurezza alimentare e le proiezioni prevedono il peggioramento delle disparità alimentari, con un aumento previsto del 27% al Sud e del 65% nelle zone rurali entro i prossimi 12 mesi (WWI). Ad aggravare la situazione non solo la disoccupazione, ma sempre più spesso il cosiddetto “lavoro povero” – lavori precari, a nero e a basso salario, che non garantiscono sicurezza finanziaria – in rapporto con un circolo vizioso di pensioni basse, welfare inadeguato, discriminazione e basse opportunità per gli immigrati e i loro figli, spesso relegati a lavori precari e mal pagati, le povertà di genere in un sistema che vede le donne percepire pensioni inferiori del 27% rispetto agli uomini.

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