E per la prima volta l’Osservatorio ha usato l’indice FIES (Food Insecurity Experience Scale), per misurare il livello di accesso delle persone a cibo adeguato e nutriente.
“Make the difference” era il tema dell’11^ Giornata Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, a Roma il Rapporto “Il caso Italia” dell’Osservatorio Waste Watcher International è stato illustrato dal direttore scientifico Andrea Segrè con il ricercatore Filippo Pini, e il responsabile del Cross Country Report Matteo Vittuari, Università di Bologna – Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari. Realizzato su monitoraggio Ipsos, “Il caso Italia” ci dice che lo spreco alimentare a livello nazionale è superiore dell’8% rispetto al 2023: sprechiamo pro capite 30 kg di cibo all’anno e 2,447 kg ogni mese. Una voragine che costa 290 € annui a famiglia, e ‘vale’ oltre 7 miliardi e mezzo solo per il cibo gettato nelle case (1 punto PIL) e 13,5 miliardi per l’intera filiera agroalimentare italiana. Si spreca di più nelle città e nei grandi Comuni (+ 8%), si spreca di più a sud (+ 4% rispetto alla media nazionale) e sprecano di più le famiglie senza figli (+ 3%) e soprattutto i consumatori a basso potere d’acquisto (+ 17%). Nel 2024 è forte l’allarme legato all’indice di insicurezza sociale: per il primo anno Waste Watcher International, usando l’indice FIES (Food Insecurity Experience Scale), ha misurato il livello di accesso delle persone a cibo adeguato e nutriente. Dal punto di vista socioeconomico, il ceto che si autodefinisce “popolare” (“mi sento povero e fatico ad arrivare alla fine del mese”) e che in Italia conta oltre 5,7 milioni di persone (oltre il 10% della popolazione, dati Istat) presenta un allarmante aumento del 280% di insicurezza alimentare rispetto alla media italiana. Le disparità geografiche sono evidenti, con il sud che registra un aumento del 26% di insicurezza alimentare rispetto alla media nazionale. C’è quindi una stretta connessione fra inflazione e insicurezza globale da un lato e ricaduta sociale dall’altro, fra potere d’acquisto in calo costante e scelte dei consumatori che optano per cibo più facile a deteriorarsi e ad essere sprecato, e non vanno quindi in direzione della salute dell’ambiente, ma nemmeno di quella personale.