A cura di Giorgio Panzeri e Simone Giudici
Quando il professor Mario Grosso, responsabile del gruppo AWARE (Assessment on WAste and REsources) del Politecnico di Milano, ci ha proposto come lavoro di tesi magistrale quello di affiancare l’assegnista Camilla Tua nell’eseguire analisi per valutare lo spreco alimentare, abbiamo accettato con un misto di entusiasmo e curiosità: avremmo collaborato per il progetto REDUCE. Insomma, non è stata la classica tesi su un LCA o un lavoro da scrivania; ci siamo dovuti letteralmente sporcare le mani andando a rovistare dapprima nei sacchi dell’indifferenziato in ingresso a dei termovalorizzatori e successivamente nei sacchetti dell’umido diretti a impianti di compostaggio. Il nostro obiettivo era quello di verificare quanto cibo è ancora presente negli scarti e soprattutto quanto di questo poteva essere evitato.
Dopo aver identificato più prodotti possibile, abbiamo classificato ciascun elemento come “evitabile”, “potenzialmente evitabile” e “inevitabile” basandoci sulla tradizione culinaria italiana e sulla nostra esperienza. Ad esempio, una colomba pasquale intera trovata in un sacchetto dell’umido è stata classificata come rifiuto evitabile, le bucce della mela come possibilmente evitabili, gli ossi del pollo come non evitabili e così via.
I risultati sono stati rilevanti: in media, per quanto riguarda il rifiuto residuo sono circa 15 kg/abitante/anno di rifiuto alimentare evitabile mentre per l’umido sono 12 kg/abitante/anno. Moltiplicando tali valori per la popolazione italiana e facendone la somma otteniamo un dato impressionante: 1’641’481 tonn/anno di rifiuto alimentare nel nostro paese è evitabile.
I dati parlano chiaro: sprechiamo troppo. Ora spetta alle istituzioni prendere le adeguate misure di sensibilizzazione nei confronti dei cittadini per migliorare questa situazione. Non si può cambiare. Si DEVE.